Quando si pensa a San Tommaso il pensiero comune gli associa l’idea di incredulità: «Sono come San Tommaso: se non vedo non credo!», un adagio che chissà quante volte si è ascoltato e che, come spesso accade è indice di una “subcultura della diminuzione” o anche di un prono servilismo a un ignorante pensiero dominante.
Oggi, festa liturgica di San Tommaso, pare opportuno soffermarsi su una figura solo accennata nelle fonti ufficiali, ma tanto quanto basta per delineare alcuni punti salienti che dovrebbero da un lato smontare alcune idee dall’altra offrire un momento di spunto e di confronto a chi vuol impegnarsi concretamente a vivere la propria fede cristiana.
Il più famoso episodio che viene alla mente pensando alla figura di San Tommaso è proprio quello dell’apparizione del Risorto: «Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.» (Gv 20, 26-28). L’Apostolo, che precedentemente aveva affermato di poter credere solo dopo aver verificato sensibilmente la realtà, risponde – come ha profondamente affermato Benedetto XVI – “con la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: «Mio Signore e mio Dio!»“.
Di fronte alla visione del Cristo Risorto San Tommaso non tocca con mano: il Vangelo non dice assolutamente che l’Apostolo abbia eseguito quanto il suo Maestro lo invitava a fare, ma che invece sia passato direttamente all’affermazione; d’altronde non aveva ormai alcun senso “toccare” con mano: Tommaso infatti non si limita a riconoscere l’uomo che era stato crocifisso, ma in realtà afferma la sua fede in ciò che comunque, come dice Sant’Agostino, continua a non vedere e lo fa con una determinazione e uno slancio commoventi ed esemplari; con quel “Mio Signore e mio Dio” San Tommaso «confessava la sua fede in Dio, che non vedeva né toccava» (S. Agostino).
Niente di più lontano dalla famosa raffigurazione di Caravaggio, nobile esempio di una tradizione che fa parte della visione collettiva comune ed “empirica” del Santo, tanto importante e bella dal punto di vista artistico, quanto inconcludente dal punto di vista teologico. Caravaggio ha avuto naturalmente tutto il diritto di esprimere attraverso il suo genio il proprio dubbio o il proprio tormento interiore, ma l’errore è ovviamente quello di far assurgere a verità, da parte della gente, questa visione interiore dei fatti. Uomini fin troppo anziani, con un’attenzione quasi morbosa a verificare un dato sensibile, in un’atmosfera cupa e completamente lontana da quanto il racconto evangelico propone in tutto il suo splendore di fede.
Uomo di grandi intuizioni, San Tommaso, e di grande risolutezza: basta pensare a un altro dei pochi luoghi in cui si parla concretamente dell’Apostolo, l’episodio della risurrezione di Lazzaro, all’undicesimo capitolo del Vangelo secondo Giovanni. Gesù manifesta la propria determinazione a ritornare in Giudea, ma i suoi lo sconsigliano: proprio da lì venivano e dopo una minaccia di lapidazione, ma il Maestro spiega qual è il vero senso del ritorno e di quanto sarebbe di lì a poco accaduto e la testimonianza che tutti avrebbero avuto con la risurrezione di Lazzaro. Tommaso diviene in questo momento determinante: «Eamus et nos, ut moriamur cum eo!» (Gv 11,16) “Andiamo anche noi a morire con lui!“, e al versetto successivo si è già nuovamente in Giudea: con una formidabile sinteticità si vede chiaramente quanto questa opinione sia stata decisiva per convincere tutti gli altri.
Non l’avrà certo detto a cuor leggero, ma di sicuro in maniera convincente. San Tommaso offre qui un grandissimo insegnamento: la sequela di Cristo implica una scelta coraggiosa, efficace e definitiva, fino alla morte; di più ancora, un morire ogni giorno a se stessi per seguirlo e andare con Lui.