Il mondo della lirica, della musica, dello spettacolo vivono un intenso momento di lutto per la morte di Luciano Pavarotti. La notizia ha da subito fatto il giro del mondo e non poteva essere diversamente: la popolarità del tenore modenese è talmente vasta e trasversale da meritarsi ampio spazio su tutti i media.
Il valore di Pavarotti è indiscusso e dispiace che all’indomani della sua morte molti suoi detrattori si siano così ferocemente accaniti tanto da, a mio parere, meritare il monito pariniano del noli insaevire in mortuos. Personalmente non sono un fan del Big Luciano e sicuramente sono convinto del fatto che le incursioni nella musica di estremo consumo, anche se peraltro in nome della beneficenza, siano comunque molto discutibili soprattutto per la mancanza di una pariteticità dei ruoli: è stato infatti il Pavarotti della lirica che si è piegato al consumismo della musica leggera fin quasi ad annullarsi in essa; non quindi l’idea di beneficenza (ovviamente) ad essere deprecabile ma l’esito artistico e il minor rilievo qualitativo.
Il Pavarotti che mi piace ricordare invece è quello giovanissimo (e anche senza barba e sopratutto senza pose divistiche anche nell’emissione vocale) della Messa da Requiem verdiana con Karajan alla Scala o, sempre con lo stesso direttore, le opere pucciniane incise per la Decca in compagnia di Mirella Freni o ancora in generale le sue presenze al Metropolitan sempre con Verdi, tuttora documentate da splendide edizioni in dvd.
E ancora un concerto datato 1995, anche quello per beneficenza, del quale conservo un piacevolissimo ricordo (e forse anche, da qualche parte, una vecchia videocassetta) in cui il tenore era accompagnato da un serissimo Riccardo Muti al pianoforte, fra arie d’opera e romanze e canzoni di innegabile qualità, pagine in cui la voce maschile è utilizzata pur sempre nella sua impostazione lirica e non adattata in un’impossibile mediazione fra generi musicali che per nulla propongono un pensiero musicale equilibrato nelle sue componenti melodiche, armoniche e ritmiche. Anche quello con Muti fu un happening sia per l’importanza mediatica dei due protagonisti, sia come risulta comunque sempre essere la musica colta se proposta anche in televisione in orari possibili e con un’adeguata informazione preliminare.
La lista dei grandi eventi che hanno coinvolto il nome di Pavarotti nel mondo della lirica è sicuramente molto lunga e, pur fra alti e bassi, gli esiti sono comunque vari e significativi: non è certo questa la sede per elencarli tutti, cosa peraltro quasi impossibile. Ma è questo il Pavarotti che vorrei si ricordasse, l’artista con la sua missione anche inconscia di mediatore e divulgatore culturale anche nella sua, apparente o reale, freschezza interpretativa che sa di istintività, ma è anche quello che ad esempio già la Rai mostra di aver dimenticato quando la sera della morte dell’artista lo commemora riproponendo uno spettacolo molto discutibile dal punto di vista culturale come il concertone dei Tre Tenori, piuttosto che offrire ai telespettatori il vero volto di Pavarotti, un’esibizione sul palcoscenico dove il cantante lirico dà concreta prova delle sue profonde capacità artistiche, privilegiando invece l’evento, nel senso più commerciale e sopratutto più semplicistico del termine.
Un addio quindi a una controversa personalità, che comunque nelle sue scelte artistiche e di vita ha estrinsecato un aspetto della problematicità del nostro tempo nella tensione e il compromesso fra l’apparenza e la ricerca di un’identità morale e culturale.