Claudio Abbado non è solo uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, ma anche una personalità di indubbia statura intellettuale e culturale, una complessa figura umana che esprime in musica vasti orizzonti.
Prometheus – The Myth in Music (Martha Argerich, Berliner Philharmoniker, Claudio Abbado) |
Una delle sue tantissime interessanti operazioni culturali di qualche tempo fa è un bellissimo compact disc, che in questi giorni ho riascoltato, dal titolo “Prometeo – Il mito in musica“, edito dalla Sony: non un semplice album, ma un avvincente viaggio attraverso la trasposizione musicale di un’idea mitologica che si traduce nella lettura del mondo ideale che ogni compositore ha in ultima analisi della presenza dell’uomo nella storia.
Prometeo, infatti, è una figura carica di significato: l’apportatore di vita e soprattutto del fuoco, simbolo della fiera indipendenza dell’uomo dal mondo delle divinità, è sempre stato figura di indipendenza, forza titanica, superiorità e di volta in volta nel corso del tempo chi si è occupato di questo personaggio lo ha fatto scegliendo una o talatra caratteristica, tradendo così attraverso la propria lettura una visione particolare dell’uomo e della figura dell’eroe.
Il viaggio musicale di Abbado inizia con Beethoven e una scelta di sette brani dalle musiche che il compositore di Bonn realizzò fra il 1800 e il 1801 per il balletto Le Creature di Prometeo, ideato da Salvatore Viganò. L’idealismo beethoveniano trova qui una delle sue più concrete espressioni: Beethoven è di per sé una figura prometeica, tutta protesa nel titanico sforzo di plasmare una materia come la musica arrecandole un ordine utopistico e spirituale trascendente la materia ma evidentemente in un perenne scontro fra ideale e reale. Il Prometeo beethoveniano è in ultima analisi un apportatore di civiltà e l’ideale eroico si fonde con quello titanico nella figurazione di un elemento superiore portatore di un ideale ordine di pace ed equilibrio in nome dell’arte. Tale lettura è evidentemente protoromantica e il sinfonismo beethoveniano è riportato da Abbado ad un suono storicamente estremamente credibile, sfrondato dalle incrostazioni romantiche ma allo stesso tempo idealmente ricco e denso, del tutto lontano dal secco suono della filologia fine a se stessa. Tutti i momenti selezionati sono resi nel loro valore musicale e intellettuale, con un suono rotondo, la giusta dose di assenza di vibrato e una coerenza stilistica perfettamente assecondata dai Berliner Philharmoniker che si confermano una formazione orchestrale di primissimo ordine.
Claudio Abbado |
Il viaggio musicale attraverso il mito di Prometeo continua con il poema sinfonico lisztiano, spesso liquidato come pezzo di maniera e d’occasione, un esempio della vacuità dello stile di Liszt che invece è un autore da non sottovalutare nella storia della musica romantica. In mano ad Abbado, infatti, anche alcuni presunti squilibri o convenzionalismi delle pagine di questo poema sinfonico acquisiscono un valore e un peso ideali di grande spessore e consistenza; anche il fugato in apparenza estremamente convenzionale o forse fuori luogo, diviene un elemento allegorico: il Prometeo lisztiano è figura del trionfo della creazione, al di là del destino stesso del creatore e in ultima analisi autoritratto di uno sforzo sovrumano nella tensione di un linguaggio nuovo che trascende il limite della materia: Liszt stesso è infatti titanico nel suo innovativo virtuosismo che Abbado legge in perfetta prospettiva storica, dando corpo al sogno romantico di una musica dell’avvenire.
Il discorso diviene ancora più intricato man mano che si procede nell’ascolto e addentrandosi nella visionarietà di Scriabin e del suo Poema del Fuoco, una visione assolutamente fuori da ogni convenzione basata su innovative concezioni armoniche (l’accordo che costituisce il materiale di base di tutto il pezzo è una fusione tra una struttura per quarte e una scala esatonale), su un’orchestrazione di una brillantezza addirittura smagliante e addirittura un gioco di luci che oggi si potrebbe considerare multimediale. Anche qui il sogno prometeico di dare vita all’inesprimibile attraverso una materia nuova. Qui Abbado riesce con grande maestria a dominare i guizzi infuocati dell’orchestrazione di Scriabin, riuscendo a dare una lettura appassionata e appassionante, senza cedere minimamente al facile effetto. L’orchestra e il coro si adattano a questa visione della partitura, mentre, facendo sempre salvo il livello comunque altissimo, non mi sembra entusiasmante la performance di Martha Argerich che appiattisce un po’ il suono pianistico su un pesante e continuo fortissimo, quasi cercasse disperatamente di non annegare fra i marosi sprigionati dalla potenza orchestrale di Abbado.
Chiude questo splendido compact disc la Suite 1992 del Prometeo di Nono, l’imponente “tragedia dell’ascolto”, come la sottotitolò lo stesso autore, dalla quale qui è possibile ascoltare due momenti. L’opera di Nono, monumentale nell’impiego di mezzi tecnici e nella sua vastità, è estremamente impegnata e impegnativa, come un po’ tutta la musica del compositore veneziano, ma, a differenza delle opere precedenti a Fragmente Stille am Diotima, Prometeo appartiene alla seconda stagione creativa di Nono, quando l’autore abbandona l’ideologia un po’ ostentata dei suoi primi anni, per dedicarsi a un approfondimento di natura più umana e dolente. Prometeo diviene così figura della peregrinazione che non trova ristoro, perde la sua eroicità per divenire più simile alle proprie creature, in un eterno vagare attraverso isole diverse e attraverso la circolarità del suono elettronicamente modificato. Abbado coglie appieno questa umanità all’interno di una musica sicuramente di non facile approccio ma carica di significato e di densità spirituale come quella dei predecessori.
Il percorso si chiude così, nel silenzio del Prometeo di Nono, dai trionfi dell’idealismo preromantico, romantico e postromantico fino alle disillusioni del XX secolo, alla tragedia umana di un secolo che ha lasciato profonde cicatrici nella storia umana.
Un CD assolutamente imperdibile per l’innegabile valore culturale a per l’eccellente interpretazione di Claudio Abbado.