In questa mia recente fotografia sono ritratto mentre mi dedico a una delle mie passioni di vecchia data: la lettura della partitura al pianoforte.
Premetto che il mio rapporto con questo strumento non sia propriamente dei migliori, passando da momenti di attaccamento e vicinanza a momenti di vera e propria insofferenza soprattutto dovuta alla constatazione della sua necessità. Tuttavia sono cresciuto al pianoforte, tutta la mia formazione musicale è avvenuta nei pressi di questo strumento e gran parte del tempo che vi passo è dedicato alla composizione o alla lettura della partitura, avendo ormai da tanto tempo abbandonato lo studio del repertorio pianistico ai fini dell’esecuzione.
Intanto, anche se marginalmente, mi sono accostato a un argomento per me importante: il rapporto fra composizione musicale e pianoforte, o comunque, vista l’evoluzione delle potenzialità informatiche in tal senso, a contatto con la materia sonora. Su questo tema esistono opinioni autorevolissime e contrastanti, tutte effettivamente degne di nota e considerazione, visto che le argomentazioni pro et contra l’utilizzo del pianoforte mentre si compone sono fondate spesso su validissimi presupposti e dimostrazioni, senza contare che fra coloro che sono intervenuti in questo dibattito ci sono i nomi di alcuni fra i più grandi compositori della storia della musica.
Personalmente, per quanto spesso ne senta il bisogno, non riesco a stare lontano dalla tastiera. Le mie idee armoniche vengono praticamente tutte dal contatto con lo strumento o dalla verifica e costruzione sensibile vicino al suono. Anche, cosa non trascurabile, una certa tendenza alla distensione delle idee nel tempo mi viene dal pianoforte, mentre la sola scrittura per qualche insondabile motivo sembra che, per quanto mi riguarda, eserciti una sorta di compressione e horror vacui delle idee.
Ma qui non voglio parlare tanto della composizione, quanto proprio della lettura della partitura al pianoforte, attività alla quale ho dedicato e dedico, compatibilmente con le possibilità contingenti, tanto tempo.
Anche per questa attività e oserei dire abilità, i pareri sono enormemente contrastanti, mi riferisco in particolare alla lettura al pianoforte di tutto ciò che non è scritto per questo strumento, dalla musica da camera a quella orchestrale e operistica. Qui per primi si schierano i direttori d’orchestra, soprattutto quelli che provengono da scuole non pianistiche, i quali sono pronti a trovare ogni forma di difetto a una impostazione che preveda una lettura anche solo preliminari dei brani per orchestra al pianoforte.
Contro questa pratica il primo limite evidenziato è naturalmente quello propriamente fisico della diversità timbrica del singolo pianoforte rispetto all’insieme degli strumenti, nonché l’evidente impossibilità di riportare all’estensione delle dieci dita una disposizione armonica molto più ampia con la conseguente necessità di alterare l’altezza delle note all’interno di un accordo. Un altro limite contestato alla lettura della partitura al pianoforte è la conseguente incapacità di realizzare un corretto ascolto interiore del risultato timbrico delle note scritte; in sostanza passando per il pianoforte sembrerebbe che il timbro orchestrale venga nella mente completamente azzerato. Infine, essendo la lettura della partitura al pianoforte qualcosa di estremamente complicato soprattutto per una realizzazione che il più possibile si avvicini al reale andamento del brano musicale, l’ultimo veramente importante impedimento è quello del limite del tempo a disposizione; ma a quest’ultimo argomento si può tranquillamente obiettare che essendo una lettura a vista di una partitura anch’essa un procedimento estremamente difficile da realizzare soprattutto per i brani che non si conoscono già in maniera approfondita, la conseguente sostituzione del pianoforte con una registrazione in realtà porta a effetti forse più disastrosi da un punto di vista interpretativo.
Come per tutti coloro che hanno studiato composizione e direzione d’orchestra con il “vecchio ordinamento” del conservatorio, la lettura della partitura al pianoforte è stata per me un asse portante della mia formazione musicale accademica. Partiture per orchestra, opere liriche, lieder, musica da camera: ore di studio trascorse in compagnia dei più grandi capolavori della letteratura musicale di tutti i tempi da ridurre estemporaneamente al pianoforte; una pratica complessa ma a mio avviso colma di grande ricchezza.
La lettura pianistica della partitura è a tutt’oggi infatti una pratica fondamentale per chi compone o dirige; si ha un contatto diretto con la materia sonora, si sviluppano abilità di lettura a prima vista e capacità di analisi al volo, ma anche, paradossalmente, ci si costringe a soffermarsi, molto più della pratica esclusivamente mentale, sui dettagli dell’orchestrazione, sui raddoppi, sulle strutture armoniche che si ampliano nella tessitura orchestrale.
La lettura della partitura fa parte di un’impostazione didattica più antica, nata quando, per accostarsi alla letteratura sinfonica e operistica, l’unica alternativa alla musica dal vivo era quella di “passarla” al pianoforte; da una parte oggi c’è una grande disponibilità di musica orchestrale che consente una fruizione immediata del grande repertorio, dall’altra però la possibilità di ascoltare e seguire la partitura esclude spesso la pratica della lettura pianistica che è passata in second’ordine anche fra i grandi professionisti ma, benché estremamente impegnativa, nasconde invece tutta una grande ricchezza.
Quando posso ritaglio del tempo per la lettura della partitura in questo mio angolo, con il pianoforte che mi ha accompagnato lungo tutti i miei studi, e nel confronto con le più alte espressioni dell’animo umano, con le più profonde ricchezze dei sogni di bellezza di secoli, ci si specchia, leggendo spesso alcuni segreti che altrimenti rimarrebbero nascosti nel profondo.