In edicola la terza uscita di Invito all’Opera, una collana dedicata alla lirica in dvd, con una eccezionale riproposizione di un Rigoletto verdiano datato 1977, con un cast d’eccellenza guidato dalla strepitosa bacchetta del maestro James Levine. Anche la prima e la seconda uscita avevano visto come protagoniste sempre produzioni del Metropolitan: una Bohème di grande rilievo con Pavarotti e la Cossotto e un’altrettanto famosa Carmen con Agnes Baltsa, tutte dirette sempre da James Levine. Conoscevo già il dvd della Carmen, in quanto già parte dell’ottima collezione marcata Del Prado, conclusasi di recente dopo oltre sessanta uscite, mentre ho acquistato Boheme e Rigoletto che si sono confermate come interpretazioni, a mio avviso, tra le più interessanti in commercio.
Come tutte le produzioni testimoniate dai dvd del Metropolitan (Turandot, Flauto Magico, Ballo in Maschera…) anche queste adesso offerte al grande pubblico dalla De Agostini sono a mio giudizio delle pietre miliari di un modo di fare teatro che per tanti punti di vista dovrebbe essere preso a modello. Il MET di questi spettacoli è il baluardo della messa in scena di stampo tradizionale, nell’accezione più nobile del termine, uno spettacolo in cui le scene, la regia, l’interpretazione cercano il più possibile di attenersi alle indicazioni teatrali degli autori.
Libretto alla mano, è possibile infatti ritrovare visivamente quanto prescritto nelle didascalie e l’interpretazione si “limita” (per così dire) alla puntuale ricerca di una verità che si nasconde nelle intenzioni di chi ha originariamente concepito l’opera. I fautori di letture personali, di rottura, che sovrastrutturano uno spettacolo trasposto in scenari ideologici che spesso niente hanno a che vedere con l’origine dell’opera stessa alla quale si preferisce l’originalità dell’interpretazione, troveranno un qualcosa del tutto diverso che bolleranno naturalmente come reazionario, ma a mio avviso la vera interpretazione dell’opera lirica e del teatro in genere (come anche del repertorio sinfonico, ma questo aprirebbe un capitolo a parte) risiede proprio nella ricreazione scrupolosa di quanto indicato nel libretto e nella partitura. Con questo non intendo dire che l’interpretazione si limita soltanto all’oggettività del testo, tutt’altro: la soggettività nasce proprio dall’atto stesso della lettura e per questo è assolutamente superfluo ricoprire il tutto di sovrastrutture.
Il teatro e la lirica in particolare, che si serve del linguaggio musicale come veicolo principale (non bisogna dimenticare che l’opera è prima di tutto musica e questa dovrebbe ricevere il maggior rilievo, non la regia o la recitazione che ad essa dovrebbero essere integrate e mai sovrapposte), sono forme allegoriche e l’allegoria, per sua definizione, può essere spiegata in ambito critico, non certo nell’atto stesso della rilettura della creazione artistica.
La Commedia dantesca, sommo esempio di allegoria strutturata al massimo livello, deve essere letta nel suo realismo a tratti crudo a tratti sublime: il segno realistico comunica un sistema allegorico che il lettore deve decifrare attraverso la sua cultura ma che non deve assolutamente sostituire al segno stesso. Allo stesso modo l’opera lirica: il suo significato finale è delegato al fruitore (sia esso interprete o pubblico) e l’interprete deve riproporre l’allegoria e fare in modo che dal suo segno letterale l’ultimo anello della catena, il pubblico (visto che la musica è un’arte mediata dall’interpretazione), possa trarre il senso dell’allegoria che sul palcoscenico deve rimanere tale.
Ben venga quindi un ritorno ad uno spettacolo operistico come questi del Metropolitan, dove, ad esempio, l’Anello del Nibelungo viene proposto nella sua ambientazione originaria così come era stata pensata da Wagner, forse il più grande allegorista del romanticismo: sarà il pubblico, attraverso la sua cultura ma soprattutto attraverso la visione dell’opera così come era stata pensata in origine, a scegliere se fermarsi (nella sua superficialità ) al segno o addentrarsi nelle profondità del significato cui il segno rimanda, grazie anche, naturalmente, alla potenza interpretativa di un artista capace realmente di trasmettere il significato allegorico attraverso l’incisività dei segni.
Mi sento, quindi, di consigliare a tutti la visione di queste nuove riproposizioni in edicola a prezzi accettabili di queste pietre miliari dell’interpretazione, non solo per gustare degli spettacoli che indubbiamente hanno un loro valore estetico, ma anche per approfondire e meditare un modo di fare teatro in cui ogni elemento dell’opera lirica ha il suo giusto ed equilibrato peso, nella ricerca di una verità interpretativa che spesso viene dimenticata.