Il compositore Arvo Pärt, che oggi compie ottantacinque anni, è una delle voci più significative della musica contemporanea.
Nato a Paide, in Estonia, l’11 settembre 1935, si è imposto sulla scena internazionale quando, dopo gli esordi nel solco della dodecafonia e le prime significative prese di distanza da essa, intorno agli anni Settanta emerse da un lungo “silenzio” creativo con uno stile personale del tutto nuovo, che sarebbe stato la sua originale cifra espressiva, carica anche di sviluppi futuri.
Dopo due sinfonie e altre importanti opere quali “Credo“, “Collage über B-A-C-H”, “Solfeggio“, “Perpetuum mobile” (tutte comunque ancora saldamente in repertorio e presenti in discografia), Arvo Pärt si convinse di aver imboccato una strada senza sbocchi, un binario morto; ecco quindi farsi avanti la necessità di non scrivere più, immergendosi nella lettura della musica antica, in particolare il canto gregoriano contenuto in un Liber usualis trovato in una chiesetta di Tallin, alla ricerca della conduzione di una “linea primitiva”, essenziale, «portatrice di un’anima, come quella che esisteva nei canti di epoche lontane: una monodia assoluta, una nuda voce dalla quale tutto ha origine», secondo le parole del compositore stesso, raccolte da Enzo Restagno nel libro Arvo Pärt allo specchio (Il Saggiatore, 2004). In questa ricerca diviene fondamentale il contatto con i testi sacri, in particolare i Salmi biblici, letti, uno alla volta, prima di compiere una sorta di esercizio di scrittura di una singola linea, giungendo così a riempire pagine e pagine di monodie, liberamente, alla ricerca di quella sorgente primaria antecedente al tecnicismo della composizione.
Da questo percorso a ritroso, con la progressiva aggiunta di una seconda voce e via via di una densità sempre maggiore pur nel primato della linea principale, nasce lo stile tintinnabuli, spesso associato all’idea di un minimalismo sacro, da cui prenderà il volo la produzione matura di Arvo Pärt, che di lì a poco sarebbe diventato uno dei compositori contemporanei più amati ed eseguiti, capace, con una musica che nasce praticamente dal silenzio, apparentemente semplice, volutamente scarna, di parlare alla profondità dell’uomo, impegnandolo in un salto oltre il rumore della contemporaneità, alla scoperta di quel silenzio originario – che non è vuoto, ma mistica e concreta presenza – da cui prende voce prima un singolo suono, quindi, in maniera ordinata, il resto.
Descrivere brevemente le caratteristiche dello stile tintinnabuli è impresa alquanto ardua, perché nella sua apparente semplicità nasconde tutta una serie di profonde riflessioni tecniche sulle risonanze delle voci (tintinnabulum è, in latino, la campana e proprio alle sue capacità risonatorie si riferisce la definizione del compositore), sull’organizzazione di micro-modi basati sulle scale (prevalentemente minori, ma non solo), sulla rispondenza tra la metrica del testo (presente o solo immaginato) e la struttura ritmica, sulle possibilità combinatorie del contrappunto.
Riducendo però l’ansi l’analisi ai soli elementi costitutivi, la tecnica del compositore si può riassumere in una modalità di organizzazione dello spazio sonoro centrato su una monodia-perno, che ha al suo interno degli elementi costitutivi di strutture verticali che vengono realizzate per aggiunta, secondo criteri ben organizzati, di nuove voci poste a precise distanze intervallari e tratte principalmente da ridotte costruzioni triadiche.
Osservando l’inizio del Kyrie della Berliner Messe si può avere un primo esempio della complessità e insieme efficacia della scrittura di Arvo Pärt.
Lo schema qui sopra riproduce l’ossatura orizzontale e verticale delle prime misure del brano. La base è una semplice scala di sol minore naturale, suddivisa in segmenti che partono dal suono base (sol) o su di esso si concludono; il numero di gradi congiunti che compongono ogni segmento dipende dal numero di sillabe della parola musicata. Considerando che alla sillaba tonica vengono assegnate due altezze, alla parola Kyrie corrispondono quindi quattro note, alla parola eleison cinque. Anche il ritmo è trattato secondo uno schema fisso, legato alla parola: la sillaba tonica ha una durata di una semiminima più una minima puntata (4/4 in totale), le altre sillabe di una semiminima, tranne quella conclusiva che si prolunga di un ottavo. Si crea così una linea principale che nell’esempio è scritta in nero e, per praticità, in note tonde senza ritmo.
Da un punto di vista verticale, dopo la prima enunciazione monodica sulla parola Kyrie, il compositore prende la triade minore del primo grado della scala (sol-si bemolle-re) e ne utilizza le note in un contrappunto 1:1; dapprima aggiunge una sola linea (indicata in rosso), scegliendo dall’accordo di sol minore alternativamente la nota più prossima alla linea principale nel grave e nell’acuto: al re si contrappone il si bemolle inferiore (indicato nell’esempio con -1, perché è il suono immediatamente sotto il re nell’accordo di sol minore), al do il re superiore (+1 perché la nota dell’accordo di sol minore immediatamente sopra il do), al si bemolle il sol (di nuovo -1) e così via. Si crea così anche un’alternanza fra intervalli diversi, contenenti diversi gradi di tensione; non si parla di dissonanze e consonanze, termini inadeguati in questo contesto, ma appunto di tensioni, qualità, risonanze diverse, che riescono a creare la tipica atmosfera del compositore estone.
Proseguendo, nella frase successiva alla seconda linea se ne aggiunge una terza, anch’essa con lo stesso procedimento, utilizzando esclusivamente le note dell’accordo di sol minore. Stavolta la seconda linea ha un rapporto di +1 con la linea principale, mentre la terza -1: in sostanza le due voci aggiunte procedono fra di loro per moto contrario.
Ancora, nell’ultima frase presa in esame, il procedimento si arricchisce di una quarta linea (indicata in blu) che si muove stavolta parallelamente alla linea principale, alla distanza di sesta; le due linee aggiunte proseguono, con rapporto alternato +1 -1, la prima nei confronti della linea fondamentale, la seconda della quarta linea a essa parallela.
Come si vede, pur in questo primo esempio, l’apparente quasi disarmante “nudità” ed essenzialità della musica di Arvo Pärt nasconde una notevole complessità di scrittura, non fine a se stessa, ma strettamente ancorata alle radici di quel “silenzio” di cui si parlava precedentemente, una struttura che comunque l’orecchio riesce a percepire come solida organizzazione.
Naturalmente nel corso degli anni lo stile tintinnabuli, di cui ho presentato qualche aspetto fondamentale ma che in realtà ha una ben maggiore complessità e ricchezza, ha visto una continua evoluzione, nella direzione di un notevole arricchimento del materiale armonico utilizzato e della cromatizzazione delle varie linee, e anche della complessa disposizione formale delle varie costellazioni sonore all’interno del singolo brano.
Esempi della piena maturità espressiva di Arvo Pärt e – a mio avviso – della sua migliore produzione sono contenuti in tre più recenti album editi dalla ECM, etichetta alla quale il compositore estone deve anche in parte la sua eccezionale diffusione, grazie al duraturo sodalizio con il produttore discografico Manfred Eicher che della ECM è stato il fondatore.
Lamentate, del 2005, contiene un lavoro per pianoforte e orchestra (che dà il titolo all’album), in dieci parti, con lo strumento solista trattato come una persona, la prima persona di una narrazione, a confronto con i grandi temi della morte e della sofferenza, espressi in una forma che si rifà alle sculture di grandi dimensioni dell’artista britannico Anish Kapoor, cui il brano è dedicato, sculture che, a detta del compositore, infrangono i concetti di spazio e tempo. In questa incisione il pianoforte è affidato a Alexei Lubimov e Andrey Boreyko dirige la SWR Stuttgart Radio Symphony Orchestra. Apre l’album uno splendido esempio della musica vocale di Arvo Pärt, Da pacem, interpretato dall’Hilliard Ensemble.
In Principio accosta tre grandissimi capolavori che esprimono tutta la profondità del pensiero e dell’arte del compositore estone: il brano in cinque parti che dà il titolo all’intero album, per coro e orchestra, sul Prologo del Vangelo di Giovanni, La Sindone, per orchestra, commissionato da Enzo Restagno per il festival Settembre Musica di Torine nel 2006, vetta assoluta della scrittura di Arvo Pärt, e Cecilia Vergine Romana, sempre per coro e orchestra, scritta per il Giubileo del 2000, assieme ad altri brani che sono riproposizioni di pezzi scritti precedentemente per altri organici, caratteristica questa molto diffusa nell’esperienza creativa di Arvo Pärt che più volte ha continuato a ritornare sui suoi passi, rielaborando i propri lavori per nuove situazioni strumentali. In questo album spicca la figura del direttore d’orchestra Tōnu Kaljuste, prezioso interprete specialista del compositore estone, attorniato dalla perfezione esecutiva dei complessi dell’Estonian Philharmonic Chamber Choir, dell’Estonian National Symphony Orchestra e della Tallinn Chamber Orchestra.
Infine la Sinfonia n.4 “Los Angeles”, commissionata dalla Los Angeles Philharmonic, con un più o meno esplicito riferimento a una preghiera all’angelo custode presente in un antico canone della chiesa slava cui il compositore si stava dedicando al tempo della commissione del lavoro con la composizione del Kanon Pokajanen, brano che chiude fra l’altro l’album, diretto da Tõnu Kaljuste. La sinfonia segna il ritorno, dopo trentasette anni, a un lavoro per orchestra di più larghe dimensioni, in cui i procedimenti compositivi di Arvo Pärt si dipanano in più complesse strutture, in un percorso sonoro di grande bellezza e suggestione. La Sinfonia è diretta da Esa-Pekka Salonen, alla guida della Los Angeles Philharmonic; proprio Salonen fu il direttore della prima assoluta alla Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, performance storica, presente, oltre che in questo, anche in un album della Deutsche Grammophon.
Non sono tante le nuove composizioni di Arvo Pärt, che fra l’altro dedica, come accennavo prima, molto tempo anche alla revisione dei suoi lavori precedenti e alla loro trasformazione in nuove versioni per organici strumentali diversi. Fra le sue ultime creazioni spicca sicuramente Silhouette scritta nel 2010 come omaggio a Gustave Eiffel; è possibile vederne e ascoltarne la pregevole prima esecuzione assoluta con l’Orchestre de Paris diretta da Paavo Järvi, sul canale YouTube del direttore d’orchestra.
https://youtu.be/wWC7URdyy-A
L’ultimo in ordine di composizione, al momento, è un brano per coro dal titolo And I heard a voice.
Per chi volesse invece in breve attraversare l’intero percorso musicale di questa singolare voce della musica contemporanea, si segnala la bella antologia della ECM dal titolo Musica Selecta.
Non resta che augurare quindi lunga vita a questo compositore che è riuscito ad affermare la propria musica caratterizzata da una profondità fuori dal comune, un artista capace di imporre il silenzio, la riflessione e la sua stessa religiosità in mezzo alla frenesia, al rumore e al consumismo del mondo contemporaneo, a rimanere se stesso nonostante l’enorme successo mondiale abbia reso i suoi lavori fra i più eseguiti e incisi al mondo.