“Dernier symbole: ce moment que je vis, cette pensée qui me traverse, ce mouvement que j’accomplis, ce temps que je frappe: il y a l’éternité avant, l’éternité après: c’est un rythme non rétrogradable” (Olivier Messiaen, Musique et couleur)
Mi è ritornato oggi pomeriggio alla mente un frammento di questa frase di Olivier Messiaen che avevo letto, in traduzione italiana, non so quanti anni fa su una rivista; ho fatto alcune ricerche e ho trovato la citazione originale, tratta dal volume Musique et couleur, un libro-conversazione fra il grande compositore francese e Claude Samuel.
Si parla di ritmi retrogradabili e non retrogradabili, quei ritmi cioè che possono avere o meno la medesima forma leggendoli dall’inizio alla fine e viceversa: confrontando infatti la lettura da sinistra a destra e da destra a sinistra di un ritmo, questo può essere identico e quindi non retrogradabile oppure differente e quindi retrogradabile. In altre parole, per fare un parallelo con le figure retoriche classiche, il ritmo non retrogradabile è affine a un palindromo, che può essere letto in entrambe le direzioni. D’altra parte proprio alla metrica classica risale per Messiaen il concetto di ritmo non retrogradabile, presente peraltro anche nella ritmica indiana (tala).
Il ritmo non retrogradabile ha per Messiaen “le charme des impossibilités“, il fascino dell’impossibilità, una certa impossibilità matematica dei domini modali e ritmici (“certaines impossibilités mathématiques des domaines modal et rythmique“), come egli stesso scrisse nel suo Technique de mon langage musical nel 1944: il ritmo rimane lo stesso perché invertendolo ha praticamente lo stesso ordine di valori; in senso melodico e armonico il medesimo risultato è ottenuto con l’uso dei modi a trasposizione limitata, quelle scale modali che, esaurito un prestabilito numero di trasposizioni, fanno ritornare la stessa sequenza intervallare.
Ma cos’ha di così affascinante per Messiaen il ritmo non retrogradabile, e con esso anche i modi a trasposizione limitata? In cosa consiste, alla fine, il fascino dell’impossibilità?
L’ascoltatore, naturalmente, non può accorgersi, come chi analizza la partitura, della presenza di modi o ritmi di tal tipo, ma la loro coesistenza si traduce da una parte in un senso di ubiquità tonale data dalla compresenza di più micro-centri tonali dovuti al fatto che i modi a trasposizione limitata si suddividono al loro interno in gruppi simmetrici e contengono quindi piccole trasposizioni in se stessi; dall’altra parte i ritmi non retrogradabili, similarmente, creano un senso di unità di movimento, dovuta al fatto che l’inizio e la fine sono confusi in quanto identici; tutto ciò si traduce nel sentimento dell’infinito.
Ecco quindi che si apre alla mente l’ultimo simbolo che porta il sistema teorico musicale di Messiaen – e in definitiva tutta la sua imponente produzione – a un gradino concettualmente più elevato: il ritmo non retrogradabile diviene immagine di un modo religioso e teologico di concepire l’esistenza stessa; nel quinto capitolo della sua Technique de mon langage musical Messiaen semplifica il concetto di non retrogradabilità dicendo che “tutti i ritmi divisibili in due gruppi, uno dei quali è il retrogrado dell’altro, con un valore comune al centro, sono non retrogradabili“; in questa definizione si simboleggia concretamente la presenza stessa di ogni azione umana all’interno del tempo frapposto fra l’eternità che si trova prima e dopo: “ce moment que je vis, cette pensée qui me traverse, ce mouvement que j’accomplis, ce temps que je frappe: il y a l’éternité avant, l’éternité après: c’est un rythme non rétrogradable”; la presenza dell’uomo nel tempo, con l’eternità prima e dopo, è essa stessa posta all’interno di un ritmo non retrogradabile, di cui costituisce il fondamentale punto centrale; di questo mistero il linguaggio musicale, come afferma il grande musicista francese, è una sorta di “arcobaleno teologico“.