Il Sabato Santo è per la Chiesa cattolica un giorno di silenzio e di riflessione, nel quale, dopo la celebrazione dei due giorni precedenti del triduo, la cena e la passione e morte del Cristo, si medita la sua permanenza nella condizione della morte della sua carne, ma soprattutto la suadiscesa agli inferi e quindi il mistero della salvezza della condizione umana imprigionata nella schiavitù della morte come condizione irrevocabile.
La seconda lettura dell’ufficio mattutino nella Liturgia delle Ore di questa giornata presenta il testo di un’antica omelia che in maniera molto suggestiva nel presentare quasi visivamente l’incontro di Cristo con il progenitore Adamo e la liberazione in lui dell’intera natura umana, veicola gli altissimi concetti teologici e l’esemplificazione dei simboli della redenzione e dell’azione salvifica dei sacramenti.
La discesa agli inferi è infatti un momento teologicamente importantissimo, fondamentale nel mistero pasquale, tant’è che nella raffigurazione orientale della risurrezione, l’Anastasis, Cristo è rappresentato nel momento in cui prende per mano Adamo ed Eva, simboleggiando così il dono della vita nuova fatto alla condizione umana, e l’episodio è presente anche “Credo” apostolico, diversamente da quello niceno-costantinopolitano, nel quale si passa direttamente dalla passione e sepoltura alla risurrezione.
Ma in un altro grande “luogo” della letteratura italiana è presente un accenno alla discesa agli inferi: si tratta di quello splendido compendio di poesia, arte, “scienza” e teologia che è la Divina Commedia.
Nel Quarto Canto dell’Inferno è Virgilio che racconta di aver visto, dopo non molto tempo dalla sua permanenza nel limbo, “un possente con segno di vittoria coronato“, Cristo, appunto, che, disceso nella prima parte dell’inferno, ne trae fuori il progenitore, suo figlio Abele, Mosè e via via patriarchi e profeti, e “feceli beati“, riscattandone la natura, perché “dinanzi ad essi spiriti umani non eran salvati“.
Il racconto dantesco è, come sempre, di forte impatto poetico e descrittivo, con una concezione dell’aldilà legata al tempo, come se i regni ultramondani scorressero in un tempo parallelo, cogliendo (e risolvendo) in maniera molto suggestiva l’intervento salvifico nei confronti dell’umanità.
Vale la pena riportare integralmente il testo dantesco, da ammirare in tutta la sua bellezza.
Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi.
«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
comincia’ io per volere esser certo
di quella fede che vince ogne errore:
«uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?».
E quei che ‘ntese il mio parlar coverto,
rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moïsè legista e ubidente;
Abraàm patrïarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé,
e altri molti, e feceli beati.
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati».
(Inferno IV, 46 ss)