Ho intitolato questo post La Nona del cuore essenzialmente per due motivi, uno artistico-culturale, l’altro strettamente personale.
Credo che questa sia una delle incisioni più belle, sentite e pregnanti del grande capolavoro beethoveniano a essere mai state realizzate, sia musicalmente sia soprattutto umanamente.
Un po’ di storia: alla caduta del muro di Berlino, simbolo della vergogna della divisione del mondo e dell’Europa, Leonard Bernstein fu invitato a dirigere la Nona di Beethoven nel giorno di Natale con la Symphonie-orchester des Bayerischen Rundfunks e membri della Staatskapelle Dresden, dell’Orchestra del Teatro di Kirov e Leningrado, della London Symphony Orchestra, della New York Philharmonic e dell’Orchestre de Paris, riunendo così i musicisti di tutto il mondo fino allora diviso dal muro.
Il concerto fu intitolato Ode an die Freiheit, “Ode alla Libertà“, traendo spunto da un’improbabile ricostruzione secondo la quale Schiller avrebbe scritto non una Ode an die Freude, “Ode alla Gioia”, ma, appunto, alla Libertà; le due parole, grazie all’equivalenza metrica, sarebbero poi state scambiate per problemi di censura. Non sembra che le cose siano andate proprio così, ma per l’occasione Leonard Bernstein ha ripreso questa “tradizione” per celebrare l’evento e il festoso clima di libertà che in quei giorni si respirava nella riunita Berlino.
L’alterazione del testo è solo una delle tante libertà che Bernstein si prende sul testo della Nona, che hanno però dato vita a una lettura veramente esemplare e a tratti irraggiungibile. Per l’occasione l’organico orchestrale è dilatato, come si usava fare tempo fa, e come oggi non si fa più per ragioni filologiche: i fiati sono tutti raddoppiati, gli archi sono più del dovuto, al coro sinfonico si aggiunge il coro di voci bianche; il tutto crea un senso di maestosità e grandezza di proporzioni michelangiolesche, grazie anche al largo e solenne incedere di Bernstein che dilata enormemente i tempi, soprattutto i primi tre, scolpendo una Nona di inestimabile bellezza.
Una lettura “fuori tema”? Assolutamente no, ma in linea – anzi – con la tradizione di ascendenza furtwängleriana che spostava in avanti le sinfonie beethoveniane facendone dei drammi idealistici di ampio respiro e dal potente pathos espressivo.
La Nona, esperimento di altissimo valore estetico e irraggiungibile maestria, presenta comunque delle grandissime difficoltà interpretative, accentuate dal fatto che la ricostruzione filologica della tradizione esecutiva non può nemmeno rimontare a un originale archetipo ideale autorizzato in qualche modo dal compositore che purtroppo ha intrappolato nella sua sordità quanto prendeva vita nella sua mente.
Effettivamente, a parte il progresso degli strumenti, dei musicisti e delle sale da concerto, è impossibile afferrare l’indefinibile: è certo, però, a mio avviso, che la lettura di Bernstein abbia la sua ragion d’essere in una scrittura orchestrale che rimanda a un ideale di proporzioni assolutamente sovrumane per i tempi, quasi che la lotta fra ideale e reale tipica del romanticismo si sia incarnata nella Nona di Beethoven risolvendo in ultima analisi il conflitto nell’irrealtà di una musica solo scritta ma non ascoltata.
I tempi larghi di Bernstein, la sua capacità di dare un peso specifico ad ogni frase, di vivere ogni dettaglio con una precisione scultorea a me sembrano estremamente valorizzanti nei confronti di una scrittura che se resa con secchezza rischia di perdere quel senso generale di grande e organico affresco che traduce in musica un’idealità di una forza assolutamente eccezionale.
Bernstein raggiunge in alcuni punti di questa esecuzione alcune vette interpretative assolutamente impareggiabili: si ascolti ad esempio la coda del primo movimento o la capacità di mantenere la brillantezza ritmica nel secondo movimento staccato ad un tempo più lento rispetto al solito; si faccia particolare attenzione al bellissimo terzo movimento, dove Bernstein dimostra come Beethoven, chiuso nella sua inesorabile sordità, abbia teso una mano verso il futuro, verso i grandi tempi lenti di Bruckner e anche Mahler, e nel contempo nella sua tragedia abbia saputo offrire a tutti un esempio di sovrana quiete e suprema tranquillità, fino a giungere alla grande esplosione dell’ultimo movimento dove il grande direttore segue e valorizza tutti gli episodi collegandoli al loro senso extramusicale e alle influenze letterarie del nascente Romanticismo.
E veniamo, in ultimo, alle ragioni “personali”. Nell’anno in cui fu realizzato questo concerto gli eventi storici davano un grande senso di speranza a chi come me, giovane e pieno di grandi ideali, poteva vedere un segno di cambiamento della storia umana. L’occasione era quindi veramente speciale e poco dopo ebbi l’occasione di vedere in televisione quello splendido concerto (ora disponibile in DVD), una trascinante vitalità e partecipazione emotiva dell’anziano Bernstein sempre più innamorato della musica e dell’umanità, con una carica vitale e una capacità musicale assolutamente fuori dal comune: e proprio vedendo quell’anziano maestro agitarsi come solo lui sapeva fare sul podio mi venne fortissima l’esigenza, già maturata negli anni precedenti, di dedicarmi con fervore ed entusiasmo alla musica, una musica che non è fine a se stessa ma parte di un grandissimo sistema, un equilibrio inscindibile di umanesimo, arte, pensiero, vita.
La Nona del cuore, quindi, per la capacità di parlare al cuore e perché è nel mio cuore come un momento di fondamentale importanza nella mia crescita umana e artistica.