Strani destini accomunano spesso i compositori: il peggiore è senza dubbio quando la loro arte viene completamente ignorata in vita, per essere poi rivalutata dopo la morte, ottenendo così il giusto riconoscimento. Altrettanto triste, ma senza dubbio più consolante, è il destino dei compositori che hanno successo in tarda età: è il caso di Anton Bruckner. Ancora più beffarda è la sorte quando l’attività compositiva è messa pressoché completamente in ombra da quella di direttore d’orchestra: caso emblematico è questa volta Gustav Mahler, spesso aspramente criticato, o, peggio, ignorato come compositore ma osannato per le sue magistrali interpretazioni.
Leonard Bernstein è vicino a Mahler anche in questo: lui che si considerava principalmente un compositore – e infatti lo era – era conosciuto soprattutto come direttore d’orchestra. Fortunatamente per lui ha vissuto la sua vita di compositore principalmente in America, dove i furori iconoclasti della scuola post-weberniana avevano un peso minore su critica e pubblico che in Europa; le sue composizioni hanno quindi potuto avere una discreta diffusione ed un certo successo, anche grazie alla possibilità che Bernstein ha avuto di inserire le proprie opere nei cartelloni dei suoi concerti e nel catalogo delle sue incisioni. Tuttavia egli è forse conosciuto principalmente per il suo musical West Side Story, mentre non tutti conoscono la profondità del suo pensiero teoretico nei riguardi della composizione ed i risultati concreti della sua esuberante creatività.
In un’epoca (dagli anni 40 in poi) in cui il mondo musicale era dominato da un netto rifiuto della tradizione e il primo impegno di un compositore era la sperimentazione di nuovi linguaggi e nuove forme alternative, in un’epoca in cui il suono e il segno appaiono irrimediabilmente disgiunti, con la conseguente giustificazione di ogni risultato sonoro a partire dalla qualità della sua struttura e della sua scrittura, Leonard Bernstein vede la possibilità di creare un Novecento alternativo a quello dell’Europa post-weberniana prendendo come modelli della sua scrittura Stravinsky, Hindemith, Copland, Gershwin e Bartòk.
Con il rifiuto di accettare il serialismo dodecafonico e il serialismo integrale, Bernstein pone alla base della sua opera la tonalità, negando la quale – egli afferma – negherebbe la stessa natura, la stessa fonte di vita della musica. La tonalità di Bernstein non è certo una riproposizione passiva degli stilemi ottocenteschi (come ad esempio può considerarsi quella di Nino Rota), ma un’esplorazione dell’universo sonoro a partire da strutture accordali che ricalcano la natura intrinseca della tonalità: la costruzione di accordi basata sulla teoria dei suoni armonici.
L’originalità di Leonard Bernstein non è però soltanto questa; la portata maggiore del suo pensiero può riassumersi nella manifestazione di una costante necessità di comunicare: si trova quindi agli antipodi della maggior parte della produzione europea del Novecento che non fa, per così dire, alcuna concessione alle “orecchie” del pubblico. Ogni nota di Bernstein comunica invece il pensiero di una personalità che medita continuamente sulla profondità dell’animo umano, offrendo, per mezzo della musica, dei percorsi che l’ascoltatore può vivere, in forza della carica umanistica presente in ogni brano.
Ecco, quindi, l’anima umana e il suo rapporto con la fede, la necessità di un rapporto intimo con la dimensione divina, un percorso di rivalutazione della forza della fede tra i mali del secolo presente (le tre sinfonie Jeremiah, The Age of Anxiety, Kaddish), l’accostamento della fede ebraica a quella cristiana nel nome di John Kennedy (Mass), e infine il teatro, luogo per eccedenza della comunicazione di idee, in cui Leonard Bernstein ha dato al mondo momenti come West Side Story e soprattutto A Quiet Place, vera meditazione sul mondo moderno e sull’aspirazione al ritrovamento di “un posto tranquillo“, appunto, dove veramente si realizzi una vita migliore: una fede, non un’utopia.
Un ultimo corollario alla grandezza di uno dei maggiori geni della musica del nostro tempo: il suo credo musicale si pone in posizione dialettica con il resto del panorama musicale del Novecento. Leonard Bernstein non ha mai rifiutato a priori alle idee altrui: ha amato confrontarsi con esse, riconoscendone la validità e rinsaldandosi, proprio per questo, nelle sue convinzioni.
Andrea Amici, Messina, 26/3/97