Per il secondo anno consecutivo ho partecipato al concorso di composizione “Musica e cultura a Piazza dei Martiri“, una lodevole iniziativa promossa dalla Chiesa Luterana di Napoli, e per il secondo anno consecutivo il mio brano è giunto in finale, venendo così eseguito in concerto.
Lo scorso anno, per la IX Edizione del concorso, il mio Salmo 116 per coro e pianoforte ha conseguito il primo premio, mentre quest’anno ho presentato, seguendo le linee guida espresse nel bando, un brano più impegnativo, la Cantata Luterana “Sola nel mondo eterna“, che non ha vinto il premio, riscuotendo tuttavia un buon consenso da parte della giuria tecnica, il cui presidente, il Mº Patrizio Marrone direttore del Conservatorio di Napoli, ha tenuto a precisarmi, assieme ad altri, che il mio pezzo avrebbe meritato il primo premio e che comunque, nei voti della giuria, si era classificato secondo.
Nessuna speranza, invece, per quanto riguarda l’attribuzione del premio della giuria formata dagli spettatori, visto che purtroppo il brano ha avuto un’esecuzione molto imprecisa con tanti errori che ovviamente ne hanno completamente pregiudicato la fruizione corretta da parte del pubblico.
Ecco, quindi, che arriviamo al centro della questione. Non è tanto, infatti, il non aver ottenuto il premio e il relativo compenso in denaro, che comunque non sarebbe stato trascurabile e secondario, quanto l’effettiva scarsa qualità dell’esecuzione.
Di chi la colpa? Del compositore che presenta una scrittura ardua e senza tregua per gli esecutori che arrivano sfiniti alla fine della quasi mezz’ora di musica? Sicuramente, e lo ammettiamo subito, senza inutili discussioni: dalla prima di questo mio brano s’impara che comunque occorre un occhio di riguardo per esecutori e pubblico, anche se, però, a mio giudizio di musica più ostica di quella del sottoscritto ce n’è in abbondanza.
Ma è solo questo, o c’è dell’altro? Naturalmente si, a mio avviso, e risiede fondamentalmente in due fondamentali presupposti negativi: primo, la disaffezione della cultura musicale italiana verso la musica contemporanea e, secondo, la carenza della preparazione.
Ormai è evidente che la superficialità e la fretta, in Italia, la facciano da padrone e ciò è più evidente se si parla di musica contemporanea, che implica una lettura più approfondita proprio perché basata su materiali inauditi (nel senso etimologico del termine); ma anche la mancanza di una preparazione di base adeguata, tipica di un’impostazione didattica che mostra ormai tutti i suoi patetici limiti.
Ciò riguarda primariamente i cori e non certo solo quello che ha eseguito il mio brano: chi canta non ha la base di una preparazione come quella del nord o dell’est dell’Europa; si canta per imitazione, anche se si sa leggere la musica, non si ha l’abitudine, proprio per mancanza di impostazione scolastica, ad ascoltare nella propria mente ciò che si vede; proprio per questo tutto ciò che non esiste già nell’esperienza trova difficoltà a estrinsecarsi.
Chi invece ha dato grandi prove sono stati il soprano solista, Silvia Del Grosso, che non ha mancato praticamente una nota, dando anche una lettura convincente di parti sicuramente non melodiche nel senso tradizionale del termine e anche il direttore, Edoardo Bochicchio, che gestualmente ha dimostrato di aver preparato nella sua mente l’interpretazione, purtroppo non seguito dal coro e spesso anche dal quartetto.
Tirando le somme, non è minimamente una polemica contro specifiche persone, che sicuramente si saranno trovate in pochissimo tempo a dover realizzare qualcosa di più ampio delle proprie effettive possibilità, quanto di un’occasione mancata, quella cioè di avere la possibilità come compositore di ascoltare una propria creazione, cosa che vale molto di più di ottenere poi alla fine un riconoscimento.
Mi fa piacere, pertanto, che l’organizzazione del premio sia ritornata, per la prossima edizione, all’impostazione precedente, abbandonando la grande forma che purtroppo non trova poi una possibilità di concretizzazione nell’esecuzione pubblica.