Lo Stabat Mater , composto da Rossini a partire dal 1831 a carriera operistica ormai conclusa, è un maturo esempio di una tradizione vocale sacra all’italiana che presenta il testo sacro suddiviso in brani staccati ognuno dei quali caratterizzato dalla forma del “numero chiuso” alla maniera dell’opera italiana settecentesca. Anche nel caso dello Stabat rossiniano il “respiro” generale dell’opera, così frammentata, diviene difficile da individuare e mantenere, anche perché non sempre risulta evidente a una lettura superficiale l’aderenza musicale alle esigenze espressive del testo sacro.
Il CD della mia libreria musicale è a mio giudizio quella realmente di riferimento per chi vuol conoscere in maniera approfondita e autentica questo grande capolavoro del repertorio sinfonico-corale. Artefice di questa imperdibile incisione edita dalla Deutsche Grammophon è Carlo Maria Giulini che propone un’eccellente lettura profondamente umana del testo rossiniano, incentrata sull’evidente volontà di riportare ogni particolare musicale al tema fondamentale del dolore umano che si estrinseca nella tragedia della morte in croce, espressa però senza parossismi e senza platealizzazione del sentimento, riportato invece a una dimensione più intima e per questo più profonda.
Così il virtuosismo del canto diviene uno strumento espressivo inquadrato in un disegno generale di comunicazione umana e artistica piuttosto che uno sfoggio atletico e soprattutto prendono consistenza organica nel “tutto” generale anche quelle parti che a prima vista possono sembrare meno funzionali dal punto di vista espressivo. Mi riferisco per esempio al famoso ” Cujus animam” spesso utilizzato dai tenori per dar prova del loro smalto vocale che qui invece viene riportato a un clima espressivo contenuto e austero, profondo e denso, nel quale il ritmo si stempera perdendo i connotati da marcetta come spesso si ascolta. E in numerosi altri punti Giulini riesce a contenere gli estremi, a dare il giusto peso a tutti i particolari, insomma a trovare l’esatto equilibrio per regalare un’esecuzione realmente densa di quel giusto connubio tra esigenze musicali, fede, espressività, dimensione storica e gusto interpretativo.
In questa nobile interpretazione è coadiuvato da un ottimo cast vocale, nel quale spiccano il tenore e il mezzosoprano; è necessario inoltre mettere in rilievo la cura interpretativa assegnata al coro, che oltre a un’ottima preparazione tecnica segue perfettamente la linea generale dell’interpretazione, fra l’altro con un suono preciso, pulito e adatto precipuamente al “sacro” sia dal punto di vista interpretativo contenutistico sia da quello della prassi esecutiva: un suono lontano dall’opera, vicino invece a letture più moderne della musica corale: un suono asciutto e terso, ma non per questo vuoto o superficiale, chiaro nella definizione delle linee polifoniche e ricco di vigore espressivo nei momenti di pathos.
Un grande maestro per una fondamentale lezione interpretativa.