Il Prélude à l’après-midi d’un faune nasce nel 1892 dalla suggestione di una èglogue di Stephane Mallarmé del 1876, “L’après-midi d’un faune”, che era stata pubblicata a Parigi in una lussuosa edizione illustrata da Edouard Manet. L’intenzione originaria di Debussy era quella di realizzare un trittico orchestrale del quale il Prélude avrebbe costituito la prima parte, seguita da un interludio e da una parafrasi. Del progetto iniziale fu compiuto solo il primo brano, che oggi è universalmente considerato la prima grande pagina orchestrale debussiana; il Prélude, infatti, segna un momento di altissima maturità artistica e soprattutto rappresenta l’inizio di un nuovo modo di concepire la scrittura e l’idea stessa musicale con l’ingresso, nella sua interezza, della sensibilità simbolista nella storia della musica.
Il brano suscitò subito un grande interesse ed ebbe un notevole successo, visto che il direttore Gustave Doret, che si occupò della prima esecuzione nel 1894, dovette bissare per intero il pezzo. Ciò che colpì l’uditorio fu senza dubbio la novità della leggerezza della strumentazione e soprattutto la profonda affinità con il mondo poetico e pittorico delle nuove esperienze che si stavano sviluppando in quegli anni in Francia. Tutte le prime critiche della partitura, infatti, vertevano principalmente sulla novità “impressionistica” della musica, quasi considerata una trasposizione dell’immagine poetica del mondo silvestre del fauno figurata da Mallarmé, realizzata, mediante accostamenti di colori, in un brano che sembrò ai musicisti esponenti della Société Nationale de Musique, fautori di una linea compositiva basata sul costruttivismo e sullo sviluppo del materiale, completamente privo di sviluppi di idee motiviche e musicali. A un’attenta analisi, però, l’elemento per così dire impressionista e flou è praticamente il livello esterno del lavoro debussiano, quasi la superficie di un mondo ideale e musicale nettamente più profondo e soprattutto più sottilmente collegato con l’innovativa poetica simbolista sviluppata da Stephane Mallarmé, il poeta che forse più di ogni altro influenzò Debussy almeno nelle prime e più importanti fasi della sua carriera artistica.
Alle accuse di “inconsistenza” del discorso musicale, avanzate dai didatti francesi che già erano dubbiosi e sospettosi sugli sviluppi della poetica musicale di Debussy sin dai tempi del suo soggiorno-premio a Roma in seguito alla vittoria dell’ambito Prix-de-Rome, si può facilmente obiettare mediante la constatazione analitica della presenza di una struttura di base che è riconducibile all’allargamento ed alla modernizzazione della più classica forma ternaria, in cui ad una sezione centrale fanno da cornice due sezioni estreme di cui l’ultima è la ripresa variata della prima; ognuna di queste sezioni è poi allargata ed arricchita dalla presenza di numerose piccole divagazioni che però vengono tenute saldamente unite dalla ricorrenza di un’idea di base, costituita dalla frase che all’inizio viene esposta dal flauto solo.
La prima delle tre parti di cui, quindi, consta il brano è basata sulla ripresentazione periodica della frase del flauto solo, una frase dall’andamento sinuoso, tonalmente instabile per la ricchezza di movimenti cromatici inquadrati all’interno di un intervallo di tritono discendente; ad ogni suo ritorno, questa frase è caratterizzata da un diverso procedimento armonico sottostante e da una diversa atmosfera orchestrale, realizzando così degli episodi diversi l’uno dall’altro: il primo ha una densità strumentale nettamente rarefatta, mentre il secondo vede già l’intervento di tutta l’orchestra in una dinamica più accentuata; la terza e la quarta entrata segnano invece un ritorno all’atmosfera iniziale ma arricchita di evoluzioni della frase al flauto. Segue una piccola sezione di transizione (indicata dal numero 3 nell’edizione della Sociétè des Èditions Jobert, utilizzata per questa analisi) in cui si ha la riproposizione, in verità molto personalizzata, del procedimento della progressione armonica, con la ripetizione dell’andamento cromatico della melodia del flauto.
Al numero 4, invece, una melodia dell’oboe, i cui spunti vengono frantumati ed imitati nelle varie parti dei fiati e degli archi, dà l’avvio alla sezione centrale, preparando, in un crescendo, il terreno alla splendida espansione lirica della frase in re bemolle maggiore. Al numero 8 inizia la ripresa della parte iniziale, in cui la melodia principale del flauto rivive in una luce nuova, arricchita da numerosi riferimenti alla sezione centrale, spegnendosi poi poco a poco fino a chiudere nel pianissimo dell’ultima misura, in cui l’orchestra si riduce alla sola presenza dei flauti e del pizzicato dei violoncelli e dei contrabbassi.
Come si vede, quindi, ci si trova davanti ad un brano perfettamente strutturato ed equilibrato, in cui la forma, però, si fa, in un certo senso, allusiva, dai contorni sfumati, in un ricco gioco di rifrazioni del materiale musicale e di segreti equilibri e riferimenti sottintesi di idee.
La forma del Prélude, d’altra parte, porta completamente a compimento, nel linguaggio musicale, il percorso dell’èglogue di Mallarmé e difatti la sua struttura può anche leggersi alla luce della storia narrata dal poeta nei suoi 110 versi, la storia di un fauno che sdraiato presso uno stagno in un pomeriggio afoso si sveglia da un profondo sonno in cui ha sognato che due ninfe dal carattere opposto gli si siano presentate innanzi; profondamente turbato, immagina di lottare con le due ninfe per piegarle ai propri desideri sensuali, ma alla fine ritorna a sognare, in un’atmosfera sospesa tra il sonno e la realtà. Naturalmente la musica di Debussy dipinge in un certo qual modo questa storia, ma sarebbe riduttivo considerarla alla stregua di un poema sinfonico illustrativo.
Questa partitura rappresenta, invece, non solo nel riferimento del titolo, l’assorbimento e la riproposizione in campo musicale delle istanze poetiche di Mallarmé. Come questi, infatti, seguendo l’esempio di Baudelaire e soprattutto di Verlaine e Rimbaud, procede nella progressiva rarefazione della poesia e nello svincolamento di questa dall’ambito di una realtà conoscibile in senso materialista e positivista – una reazione concreta a tutte le poetiche veriste o che comunque trovano nel primato dell’indagine oggettiva e naturalistica la loro ragione ultima – così anche Debussy svincola la forma musicale dalla conoscibilità diretta e la porta ad un livello più profondo, dove deve essere ricercata con metodi che esulano dalla “scientificità” delle forme canoniche ed anche dalle loro più geniali, ma pur sempre razionalistiche, elaborazioni.
Ancora, Mallarmé auspica nella poesia – considerata come suprema ed unica forma di conoscenza – il rinvenimento di tutto un gioco di sottili e segrete corrispondenze che si trovano al di là della logica e che investono tutti i campi della percezione umana, al di là di quanto possa concedere la semplice esperienza empirica, mediante un linguaggio evocativo che si pone oltre la retorica, precursore dell’ermetismo, in cui la parola acquista, anche come entità singola, prima di tutto un suo valore musicale e soprattutto un valore di simbolo, quasi un nuovo codice di conoscenza che si raggiunge non per via razionale ma per via analogica. Le idee motiviche di Debussy, come quelle poetiche di Mallarmé, sono cariche di una musicalità intrinseca che le rende estremamente sofisticate e le carica di una sorta di magico incanto, in cui il suono ha praticamente valore esclusivamente per se stesso, soprattutto grazie all’avvolgente strumentazione che sapientemente riesce a evocare atmosfere che si trovano al di là del patrimonio puramente fenomenico (per cui, ad esempio, nel successivo trittico La mer sarebbe abbastanza riduttivo ricercare esclusivamente la ricreazione musicale del suono delle onde del mare), ma cercano di penetrare nella profondità e nel mistero dell’esperienza umana. Come la parola di Mallarmé, nel Prélude di Debussy la frase del flauto – che così spesso ricorre ogni volta sempre diversa e ogni volta sempre lontana da sé -, tutti i motivi, per così dire, accessori della prima e della seconda parte e le grandi espansioni melodiche, mai convenzionali, della sezione mediana sono tutti “simboli” strettamente connessi tra loro, che quasi riescono misteriosamente a parlarsi l’un l’altro, di una realtà percepita dal musicista – probabilmente il sottile erotismo che pervade L’après-midi d’un faune –, figure musicali che alludono ad un mondo sotterraneo di una sensibilità che ha smesso di accontentarsi della superficialità e della spiegabilità della conoscenza scientifica.
Si nota bene come, sin da questo primo grande saggio orchestrale della poetica debussiana, si possa percepire la vicinanza e, direi, l’identità poetica con il mondo simbolista, piuttosto che con il mondo pittorico dell’impressionismo, pur presente ma non basilare come avevano rilevato i primi critici di Debussy, con estrema diffidenza dell’autore stesso. Che l’operazione sia d’altronde perfettamente riuscita in questo brano lo dimostra anche l’apprezzamento espresso dallo stesso Mallarmé nei confronti della partitura.
Il Prélude à l’après-midi d’un faune rappresenta infatti forse il momento di maggior contatto (insieme forse al Pelleas et Melisande) con il simbolismo di Mallarmé, musicalmente filtrato attraverso il simbolismo wagneriano del Parsifal, anche se rivissuto in maniera del tutto personale; le strade che prenderà in seguito Debussy con opere come La Mer, Images e con Jeux e il Martyre de Saint-Sebastien, pur partendo dallo stesso assunto di base, lo porteranno molto più avanti del simbolismo di Mallarmé, verso una sempre più radicale smaterializzazione e rarefazione delle idee musicali, ridotte spesso a puro suono, prima con la finezza della strumentazione memore del gamelan giavanese e con l’accoglimento di procedimenti musicali nuovi come le scale per toni intere o quelle pentafoniche, tipicamente esotiche, fino ad arrivare all’assorbimento di modalità antiche che daranno al suo linguaggio estremo una forza evocativa ancora più netta e profonda. Nel Prélude invece Debussy riesce a creare il vero gioco di profonde e recondite rispondenze simboliste, dando nuova vita a materiali musicali che si spingono poco oltre la consuetudine, consolidata, ad esempio, dalle innovazioni wagneriane, ormai acquisite: come la parola poetica di Mallarmé si carica di un mondo nuovo di significati pur rimanendo apparentemente nell’area comune del lessico intellettualistico, così le idee musicali e le forme di Debussy, pur restando in una sintassi formale apparentemente riconducibile alla normalità, approdano a nuovi significati, in un’espressione che si pone per certi versi in continuità con i mezzi musicali del passato ma in atteggiamento di novità nella concezione dell’arte musicale, infondendo una nuova luce anche in quanto desunto dalla tradizione.
Andrea Amici
giugno 2000
Questo testo è una versione modificata di un saggio realizzato su proposta del prof. Giuseppe Collisani, docente di storia ed estetica della musica al Conservatorio “V. Bellini” di Palermo, in preparazione agli esami scritti del corso superiore di estetica musicale.